WORK

Bettina Musatti potrebbe fotografare anche soltanto un foglio bianco, ma le sue argomentazioni sarebbero talmente convincenti da farlo apparire un angolo di pack desolato, una macchia di latte sulla neve, perfino il vuoto mentale che affligge ormai buona parte della popolazione mondiale.
La sua fantasia, il gusto per la sfida intellettuale, il sottile piacere provato nello spiazzare l’occhio dell’osservatore fanno sì che ogni suo scatto diventi un test analitico, nel quale mettere alla prova la nostra immaginazione, il nostro senso del paradosso.

Gioca, Bettina – nata in Brasile a San Paolo, ma in Italia da anni (vive a Como) – con la luce e i colori, trasforma oggetti insignificanti in favole domestiche, inserisce i manufatti dell’uomo nella pelle della Natura «per vedere di nascosto l’effetto che fa» (Jannacci dixit), e il risultato è sorprendente e ci dimostra come per far mutare fisionomia e carattere a un oggetto (ma anche a una convinzione) sia sufficiente spostare il punto di vista, l’angolo di ripresa.

Musatti ne ha viste tante nella sua più che ventennale attività di fotografa, giovanissima reporter ha documentato la caduta del Muro di Berlino, è stata allieva di Arnold Newman, ha lavorato con una formidabile squadra di cacciatori d’immagini nel più importante quotidiano del Brasile, la “Folha de São Paulo”, ha pubblicato in quotidiani e riviste di diversi Paesi, allestito mostre personali in gallerie come Il Diaframma di Milano, realizzato perfino un catalogo per Gerald Thomas e il musicista Philip Glass.

Ma la sua vena più genuina è quella fantastico-grottesca, che l’ha portata prima a riprodurre radiografie di parti del suo corpo elaborandole con l’inserimento di oggetti (“The Body Negative”, mostra del 1992) poi a scoprire le infinite potenzialità degli apparecchi ortodontici delle figlie, non certo modelli di Calvin Klein ma, se ben guidati e ambientati, soggetti versatili e soggioganti, perfino simpatici.

Bettina Musatti crea percorsi mentali e artistici con le sue serie fotografiche.
Del resto il suo direttore di un tempo alla “Folha”, Luiz Caversan, scrive di lei: «una figura importante, decisiva direi, anche grazie al suo temperamento espansivo e alla sua capacità di incantare, provocando con le sue risate e disarmando gli spiriti conservatori. (…) Già allora, in quegli anni di sfide e conquiste, Bettina dimostrava che la sua “descrizione” della realtà, anche se un po’ beffarda, era molto più profonda di quanto non apparisse».

Il “ciclone Bettina”, come titolò l’edizione italiana di “Photo” dedicandole un articolo quando ventenne scattò alla Porta di Brandeburgo di Berlino, è sempre in attività per intercettare i nostri sensi, shakerarli e servirceli a giusta temperatura, mettendoci di fronte a interrogativi sul senso della forma e della sostanza.
Possiamo così scegliere tra ciò che ci suggerisce l’emisfero destro del nostro cervello, dove è depositata la fantasia, e comunque essere grati a Bettina per la possibilità di esercitarlo, visti i tempi di intellettuale calma piatta, globalizzazione omologata e sterile, fotografie manipolate per evidenziare il nulla e vuoto elevato a sistema.
Qui c’è da osservare e pensare, interpretare e ricreare, percorrendo lo stesso sentiero dell’artista e deviando all’occorrenza per raccogliere fiori di poesia o frutti della ragione.

Mario Chiodetti

Bettina Musatti

Bettina Musatti potrebbe fotografare anche soltanto un foglio bianco, ma le sue argomentazioni sarebbero talmente convincenti da farlo apparire un angolo di pack desolato, una macchia di latte sulla neve, perfino il vuoto mentale che affligge ormai buona parte della popolazione mondiale.

La sua fantasia, il gusto per la sfida intellettuale, il sottile piacere provato nello spiazzare l’occhio dell’osservatore fanno sì che ogni suo scatto diventi un test analitico, nel quale mettere alla prova la nostra immaginazione, il nostro senso del paradosso.
Gioca, Bettina – nata in Brasile a San Paolo, ma in Italia da anni (vive a Como) – con la luce e i colori, trasforma oggetti insignificanti in favole domestiche, inserisce i manufatti dell’uomo nella pelle della Natura «per vedere di nascosto l’effetto che fa» (Jannacci dixit), e il risultato è sorprendente e ci dimostra come per far mutare fisionomia e carattere a un oggetto (ma anche a una convinzione) sia sufficiente spostare il punto di vista, l’angolo di ripresa.

Musatti ne ha viste tante nella sua più che ventennale attività di fotografa, giovanissima reporter ha documentato la caduta del Muro di Berlino, è stata allieva di Arnold Newman, ha lavorato con una formidabile squadra di cacciatori d’immagini nel più importante quotidiano del Brasile, la “Folha de São Paulo”, ha pubblicato in quotidiani e riviste di diversi Paesi, allestito mostre personali in gallerie come Il Diaframma di Milano, realizzato perfino un catalogo per Gerald Thomas e il musicista Philip Glass.

Ma la sua vena più genuina è quella fantastico-grottesca, che l’ha portata prima a riprodurre radiografie di parti del suo corpo elaborandole con l’inserimento di oggetti (“The Body Negative”, mostra del 1992) poi a scoprire le infinite potenzialità degli apparecchi ortodontici delle figlie, non certo modelli di Calvin Klein ma, se ben guidati e ambientati, soggetti versatili e soggioganti, perfino simpatici.

Bettina Musatti crea percorsi mentali e artistici con le sue serie fotografiche.
Del resto il suo direttore di un tempo alla “Folha”
Luiz Caversan, scrive di lei:

«una figura importante, decisiva direi, anche grazie al suo temperamento espansivo e alla sua capacità di incantare, provocando con le sue risate e disarmando gli spiriti conservatori. (…)

Già allora, in quegli anni di sfide e conquiste, Bettina dimostrava che la sua “descrizione” della realtà, anche se un po’ beffarda, era molto più profonda di quanto non apparisse».

Il “ciclone Bettina”, come titolò l’edizione italiana di “Photo” dedicandole un articolo quando ventenne scattò alla Porta di Brandeburgo di Berlino, è sempre in attività per intercettare i nostri sensi, shakerarli e servirceli a giusta temperatura, mettendoci di fronte a interrogativi sul senso della forma e della sostanza.
Possiamo così scegliere tra ciò che ci suggerisce l’emisfero destro del nostro cervello, dove è depositata la fantasia, e comunque essere grati a Bettina per la possibilità di esercitarlo, visti i tempi di intellettuale calma piatta, globalizzazione omologata e sterile, fotografie manipolate per evidenziare il nulla e vuoto elevato a sistema.
Qui c’è da osservare e pensare, interpretare e ricreare, percorrendo lo stesso sentiero dell’artista e deviando all’occorrenza per raccogliere fiori di poesia o frutti della ragione.

Mario Chiodetti